ArtistiL'Aquila

La generazione del NaftaBenza

In questo articolo desideriamo parlare di un luogo molto speciale, che per oltre un decennio ha ospitato una delle generazioni di musicisti tra le più attive nella scena aquilana.

Non è una strada, una piazza, un teatro o un auditorium.

È uno scantinato.

Sotto l’edificio che fa angolo tra Piazza Chiarino e Via San Martino, e più esattamente sotto il pavimento di una vecchia bottega di macelleria, c’era a L’Aquila il NaftaBenza.

Vi si accedeva da un’anonima porta di Via San Martino, si scendevano delle scale scricchiolanti, e sotto il livello della strada si apriva un monolocale immerso nella penombra.

Poca aria e ancora meno luce filtravano da una grata vicina al soffitto, con vista (si fa per dire) su Via Garibaldi.

Sul finire degli anni ‘80 vi aveva tentato la sorte una palestra, ma l’idea del fitness in un seminterrato non aveva funzionato.

Nel giro di pochi mesi lo scantinato era nuovamente piombato nella sua oscurità polverosa, ma aveva guadagnato alcuni pannelli fonoassorbenti, un paio di enormi specchi, qualche pezzo d’arredo e un considerevole ridimensionamento delle prospettive di guadagno in caso di locazione.

Insomma, tutto d’un tratto quel seminterrato era diventato il luogo ideale per le prove di una band.

Tanta voglia di fare musica e pochi soldi in tasca imponevano ai giovani musicisti di ricorrere a una sorta di time sharing, un po’ come in quegli anni accadeva nelle università americane per l’uso dei mainframe.

Un pomeriggio qualsiasi, alla parete del minuscolo pianerottolo d’ingresso fu appesa  una pistola da benzinaio da cui penzolava una grossa catena in ferro al  posto del tubo in gomma, e nel campanello che era incastonato nella cornice in pietra della porta fu inserita una nuova targhetta di carta.

Da quel momento, il “locale” ebbe un nome: NaftaBenza.

Cosa aveva di tanto speciale il NaftaBenza?

Intanto, era uno dei pochissimi spazi in città in cui fare musica.

L’alternativa non era un granché: l’oratorio dei Salesiani in Via Don Bosco, la sagrestia di Santa Rita in Via Strinella, la sagrestia di San Sisto e qualche garage condominiale.

Tutti luoghi in cui il volume era sempre troppo alto, la musica troppo rock, i testi delle canzoni troppo spinti, l’orario troppo inopportuno, eccetera, eccetera.

Nel NaftaBenza, invece, ci si poteva esprimere in totale libertà.

Ma l’aspetto più interessante era proprio il time sharing, cioè la convivenza necessaria, perché favoriva continui incontri e scontri musicali, contaminazioni, collaborazioni, condivisioni e confronti.

Il NaftaBenza ha certamente contribuito alla nascita di una “scuola aquilana”, che se solo avesse avuto i mezzi per svilupparsi e progredire farebbe oggi il paio con la “scuola genovese”, la “scuola romana” oppure con una qualsiasi delle più importanti “scuole” di pensiero e formazione musicale di cui l’Italia si fa vanto.

Purtroppo, L’Aquila e soprattutto le istituzioni aquilane non hanno mai voluto o saputo sfruttare l’enorme potenziale artistico germinato dal NaftaBenza, e questo ne ha determinato il progressivo decadimento e l’estinzione.

C’è però da dire che alcuni musicisti del NaftaBenza hanno riscosso discreto successo in ambito nazionale e internazionale, con partecipazioni a produzioni, kermesse e festival prestigiosi, altri hanno comunque continuato a studiare e comporre musica per lavoro o per diletto.

Probabilmente, la maggior parte delle persone non ha mai sentito parlare del NaftaBenza, eppure c’è stato ed è stato il centro nevralgico della musica giovanile aquilana per molti anni.

Nella raccolta di racconti intitolata Dell’amore della musica, pubblicata e venduta in oltre 160 Paesi del mondo, Adam Leve ha tracciato un divertente scorcio di vita nel NaftaBenza nel racconto intitolato Il punk non morirà mai.

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Eccone uno stralcio.

Il resto della band sarebbe arrivato da lì a poco.

Tre paia di scarpe sarebbero scese attraverso la scricchiolante scalinata di legno e tre paia di occhi avrebbero gettato uno sguardo intorno per verificare se tutto fosse al proprio posto, se proprio di tutto è il caso di parlare.

E sì, perché a dirla bene, a parte poltrona, impianto acustico e strumenti, il resto della faccenda non contemplava un granché. Tutto ciò che c’era da vedere erano le pareti rivestite di cartoni per le uova, messi lì più per migliorare la resa del suono all’interno che per attutirne l’impatto all’esterno, che di tanto in tanto si spiccicavano e dunque bisognava riattaccarli con la colla a caldo.

Beh, in effetti, un cimelio importante e senz’altro più importante della poltrona se non anche degli strumenti e dell’impianto acustico c’era.

Si trattava di una pistola di quelle per erogare la benzina, ora attaccata ad una catena a significare il tubo di gomma da cui era stata evidentemente asportata, ed appesa in bella vista proprio al minuscolo pianerottolo da cui si aveva accesso alla scala.

Era stata un’idea di Harry, così come lo era stato il nome dato al locale che da qualche tempo avevamo orgogliosamente esposto nel campanello avvitato al legno nero di vernice del portoncino d’ingresso da cui, scarabocchiata su una pellicola in plastica trasparente, si leggeva retroilluminata la scritta 

Nafta Benza

con tutte le A cerchiate di anarchia.

Nessuno s’era mai informato della provenienza di quella pistola da benzinaio e a Harry non gl’era stato mai chiesto. Il nome era ganzo e andava bene così, anche se nessuno s’era mai spiegato bene cosa ci stessero a fare tutte quelle a cerchiate.

Anche questo era un altro mistero di Harry, ma andava bene così.

C’è da dire che certe volte Harry aveva delle trovate eccezionali. Anche quella del campanello era un’idea tutta sua. L’idea di un interruttore che facesse illuminare una lampadina anziché suonare un campanello fu accolta come un’invenzione geniale.

Harry serbava un sacco di sorprese in quel cilindro da mago che era la sua mente distorta dal ragtime che, come certe banconote false, saltavano fuori quando meno te l’aspettavi. Harry era anche un ottimo chitarrista, anzi.

Il resto della band sarebbe arrivato da lì a poco, in ritardo come sempre e su qualsiasi orario.

Adam Leve – Il punk non morirà mai – in Dell’amore della musica

Nel suo blog Ortona non perdona, Gianluca Di Renzo racconta la sua esperienza a L’Aquila e ricorda il NaftaBenza nella seconda parte del’Invisibile 1986/1987.

Ecco alcuni passaggi.

Per darmi un contegno mi faccio una passeggiata per andare trovare qualche matricola fancazzista come me.

Trovo Peppe da Carsoli o Emilio di Lanciano.

Emilio devo dire che si impegna, è in casa con altri 3 studenti di Ingegneria e sono sicuro che riuscirà.

C’ha un vecchio disco degli Scorpions con I fratelli Schenker: “Lonesome crow”.

Dopo aver rotto i coglioni, vengo cacciato gentilmente perché puzzo di alcool a morte e ho i capelli lunghi.

Ritorno per il Corso, verso le 19,30.

Gli altri sono già a livello.

Non sono da meno ed entro nel bar dove inizio la serie dei prosecchi e salatini.

Alle 20,30 sono cotto e l’unica cosa da fare è passeggiare alla temperatura di 1 o 2 gradi per riacquisire dignità sufficiente per il dopocena.

Ci sono alcune possibilità per sopravvivere al break tra il prima ed il dopo cena degli altri.

Il walkman a palla lungo Via Sallustio o le chiavi del Naftabenza, una cantinaccia dove facciamo le prove in vari gruppi.

Verso le 22,00 raggiungo con il fegato supplicante il Bar Dante all’angolo di Piazza Duomo vicino le poste centrali.

Berardo e gli amici del dopo cena sono già lì. Quelli che conosco a L’Aquila, si possono dividere a seconda degli orari.

Ci sono alcuni che vedo solo la mattina, altri la sera prima di cena ed altri dopo cena.

Gli amici al bar sono quelli che ti danno la buonanotte in tutti I sensi.

Sono quelli che mi offrono “L’invisibile”.

http://gianlucadirenzo.blogspot.com/2009/04/linvisibile-1986-1987.html

Su RockIt c’è la biografia delle Naphta Narcisse, il cui nome è ispirato proprio al NaftaBenza.

Ecco come nascono Le Naphta Narcisse.

Le Naphta Narcisse nasce una sera di gennaio del 1995 a L’Aquila, quando Mirko Marzolo (voce) e Stefano Valeri (batteria) si conoscono per caso nell’unica birreria degna di questo nome della città e, sempre per caso, scoprono che di lì a una settimana compiranno diciotto anni a un giorno di distanza l’uno dall’altro.

Parlano tutta la sera.

Ognuno è folgorato dalle idee dell’altro, ognuno ribattezza l’altro.

Mirko diventa Caster e Stefano diventa Gas.

Decidono di mettere su una band.

Reclutano altri musicisti e iniziano a provare in una storica sala-prove della città che altro non è che un enorme scantinato di un palazzo del ‘400.

È dagli anni settanta che quel posto umido e puzzolente funge da ritrovo per i giovani musicisti aquilani, è dagli anni settanta che quel posto si chiama Nafta Benza.

È da questo nome e dall’interesse che hanno per il concetto di Narcisismo che Gas e Caster inventano Le Naphta Narcisse.

Caster canta e scrive i testi, Gas suona la batteria e compone.

Dopo svariati cambi di formazione e due anni passati sottoterra a cercare suoni, armonie e parole i Naphta (così si chiamano fra di loro) registrano un demo e finalmente iniziano ad esibirsi.

Fra il ‘97 e il ‘98 hanno un intensa attività live e all’Indhastria di Giulianova (TE) aprono i concerti di Wolfango, Apha e Subsonica.

Sempre al ‘98 risale l’avvenimento più importante nella storia del gruppo, entra a far parte della band, come chitarrista e non solo, Daniele Tortora che Gas e Caster nominano subito Mafalda, cioè ilMafio.

Registrano nuovo materiale e si esibiscono diverse volte a Roma, fra cui ben quattro concerti nello storico club “Il Locale”.

Nel ’99 però ilMafio è costretto a lasciare la band per incompatibilità artistica e personale con altri membri del gruppo.

Per simili motivi alla fine dello stesso anno anche Caster lascia e, di fatto, scioglie la band ed il sodalizio con Gas che, con i membri rimanenti e una nuova cantante, da vita ad un diverso progetto.

Inizia un nuovo millennio, passano gli anni e Le Naphta Narcisse non esiste più, o meglio, non esiste più una band con quel nome.

Perché Le Naphta Narcisse non è solo un gruppo rock, non è solo un progetto musicale, è un’Entità Artistica e Sovversiva.

Almeno così è nella testa di Caster che, in solitudine e senza progettualità alcuna, inizia a comporre nuove canzoni che sottopone solo agli amici in occasioni per lo più conviviali.

Fra questi amici c’è, come c’è sempre stato dal giorno in cui si sono incontrati, ilMafio, il quale alla fine del 2007 si convince e fa la sua proposta all’amico: rimettere in piedi la band, far rinascere Le Naphta Narcisse.

Alcuni anni sono passati e molte cose sono cambiate, ma ilMafio ha le idee ben chiare: se il progetto deve rinascere si deve iniziare a lavorare sul nuovo materiale di Caster (più qualche cavallo di battaglia) e registrare, prima di tutto, un disco, ma per fare ciò si dovranno cercare nuovi riferimenti e una diversa logistica rispetto al passato.

Così la sede lavorativa del gruppo si sposta definitivamente a Roma.

IlMafio invita a far parte del progetto il chitarrista Federico Gullo che conosce i vecchi demo dei Naphta e accetta.

È buio totale sul bassista, ma per il batterista ilMafio non ha dubbi: bisogna richiamare Gas.

Gas c’è e si riparte.

Purtroppo per questioni di carattere pratico la band può riunirsi e lavorare solo pochi giorni al mese, a rallentare ulteriormente i lavori sono le defezioni che si susseguono al ruolo da sempre più problematico per i Naphta: il basso.

Il 6 Aprile del 2009 alle 3:32 la vita di Caster e Gas (e di altre cinquantamila persone) viene per sempre sconvolta dal terremoto più violento mai registrato in Abruzzo negli ultimi trecento anni.

La città dell’Aquila è distrutta.

Quella notte trecentonove persone perdono la vita sotto le macerie.

Decine di migliaia perdono casa e lavoro; soprattutto, perdono quelle poche certezze che avevano fino ad allora.

Fra queste anche Gas e Caster.

Ma non c’è tempo per piangere e commiserarsi, bisogna rifarsi una vita.

Gas si trasferisce a Pescara.

Caster viene letteralmente prelevato dal Mafio e portato a Roma dove è ospite dell’amico per qualche settimana, poi trova un lavoro e una camera in affitto.

Anche se può sembrare assurdo non è poi così difficile diventare fatalisti quando nella vita ti capitano certe cose.

Nella mente di Mirko scatta qualcosa: per lui il terremoto era un appuntamento, un appuntamento tellurico.

La sua presenza a Roma, la vicinanza con ilMafio e Federico e una nuova, più cinica visione del mondo lo portano a scrivere altro materiale e, soprattutto, a spingere se stesso e gli altri a fare di più.

I Naphta si esibiscono con brevi performance in alcuni locali della capitale fra i quali il Contestaccio e Stazione Birra.

L’obiettivo principale però resta la lavorazione del loro primo album che però è di nuovo frenata dalle oggettive difficoltà di Gas che è troppo lontano, troppo impegnato o forse troppo poco coinvolto.

Fatto sta che Gas non riesce a garantire una presenza costante di cui la band, adesso più che mai, ha un assoluto bisogno.

Siamo arrivati al maggio 2010 e le strade artistiche di Caster e Gas si separano ancora ma questa volta Caster non rimane solo.

A Gas subentra Corrado D’Agostino (detto Dagus).

L’attività del gruppo subisce un’accelerazione, il live migliora e diventa più corposo.

https://www.rockit.it/lenaphtanarcisse/biografia

In questa biografia c’è una probabile svista sulle date: la nascita del NaftaBenza non sembra risalire agli anni ’70, bensì alla seconda metà degli anni ’80.

Ma sorvolando su questo dettaglio, la parabola delle Naphta Narcisse spiega bene l’evoluzione e il declino della generazione del NaftaBenza.

Più di ogni altra cosa, la rinascita delle Naphta Narcisse spiega bene come la generazione del NaftaBenza non si è estinta, ma è pronta a rinascere come il fuoco dalla brace che cova sotto la cenere.

Vi lasciamo con Le Naphta Narcisse nella loro Allergico ai franzosi, e vi auguriamo come sempre buona musica per tutta la vita!!!