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Così sosteniamo la musica e gli artisti, a prescindere dal Coronavirus

Il Covid-19 ci ha cambiato la vita, questo è il fatto, ed è stato un cambiamento improvviso, inatteso, non preventivato e perciò destabilizzante.
Chi l’avrebbe mai detto che nel XXI secolo, con tutta la tecnologia che c’è, non saremmo stati in grado di trovare subito una risposta, un vaccino, una cura?
Ma tant’è, e dobbiamo farcene una ragione: siamo in grado di fare molte cose, ma non sappiamo ancora fare i miracoli.
L’inesperienza, la paura e la preoccupazione per le conseguenze economiche, hanno spinto molte persone a negare l’esistenza del problema e a trarre conforto dalle farneticazioni di sedicenti scienziati, politici d’avanspettacolo, giornalisti all’arrembaggio e altri equivoci personaggi in cerca d’autore.
Ovviamente, non sono mancati neppure gli intrallazzoni e gli sciacalli di turno.
Tutto questo, però, non sposta di una virgola la questione: c’è in giro un virus che direttamente o indirettamente provoca la morte di tante, troppe persone.
Ecco perché dal primo lockdown, e soprattutto durante la surreale estate 2020, abbiamo smesso di promuovere gli spettacoli dal vivo.
Per questa scelta abbiamo pagato ben volentieri lo scotto di una minore visibilità, e meno volentieri abbiamo conquistato le critiche di alcuni lettori, artisti, organizzatori e operatori della musica.
A dire il vero, nei primi giorni della cosiddetta “fase due” avevamo ripreso a occuparci di concerti, limitandoci a quelli che promettevano il rispetto delle regole, ma abbiamo subito dovuto arrenderci all’evidenza: le regole venivano rispettate tutt’al più all’interno del perimetro dedicato allo spettacolo, per essere totalmente ignorate appena al di là delle transenne.
Dal momento che non poteva essere garantita l’incolumità delle persone, incluse quelle che della propria e dell’altrui incolumità non si curavano affatto, abbiamo scelto di non proseguire.

Con questo articolo vogliamo rispondere alle domande e alle critiche che ci sono state rivolte in questi mesi, non tanto per esporre il nostro punto di vista sulla gestione della pandemia, se ne può fare tranquillamente a meno, quanto per chiarire quali sono i nostri valori, i nostri scopi e i nostri obiettivi, che invece potrebbero interessare chiunque volesse condividerli.
Possiamo concederci questa franchezza perché siamo liberi, non abbiamo padroni, e rispondiamo soltanto alla nostra coscienza.
Ecco come sosteniamo la buona musica, nuova, libera e di qualità.

La pandemia è un fatto, e le sue ricadute economiche sono inevitabili.
Le regole imposte dai governi sono, nella migliore delle ipotesi, misure di contenimento del contagio, ma sta ai cittadini rispettarle responsabilmente.
Compete invece alle imprese, e più in generale a tutti gli operatori economici, ridefinire i prodotti e le strategie, cioè innovare, in modo da adeguare l’offerta alla nuova domanda di beni e servizi Covid-free.
Chi pretende di restare ancorato allo status quo ante Covid è destinato a boccheggiare tra un lockdown e l’altro, prima di uscire definitivamente dal mercato.
Seppure un vaccino o una cura fossero disponibili già da questo momento, si prospetterebbero comunque tempi non brevi per il loro utilizzo su scala globale e, dunque, per la loro concreta efficacia.
Il mercato musicale, sia pure con le sue peculiarità, è un mercato come tutti gli altri, e soggiace ai medesimi principi generali dell’economia.
Sembra incredibile, ma anche l’artista che vive della sua arte è in definitiva un businessman, perché fa la spesa, paga le bollette, paga le tasse e versa i contributi con i proventi dei dischi, dei concerti, eccetera.
Quindi, anche gli artisti devono innovare, e dalla loro hanno un vantaggio competitivo impressionante che potrebbero sfruttare: rispetto alla situazione di arretratezza della maggior parte dei mercati tradizionali, il mercato della musica ha compiuto da molto tempo lo switch al digitale.
I dati dell’industria discografica evidenziano un incremento costante, nell’ultimo decennio, delle vendite su piattaforme digitali, dal download allo streaming.
Da gennaio 2020 a oggi le vendite via streaming sono addirittura aumentate.
Non c’è dubbio, quindi, che la tecnologia ha consentito la diffusione e la circolazione della musica anche in tempi di Coronavirus.
Gli artisti più celebri a livello mondiale usano ordinariamente il web per promuovere e vendere la loro musica, e non si limitano a questo, ma creano musica per videogames, pubblicità, cinema e televisione, tutto fruibile online.
A questo proposito, dopo il Concertone del primo maggio che abbiamo organizzato in videoparty sulla pagina Facebook di MusicAq magazine, che per inciso ha riscosso un successo tanto strepitoso quanto inatteso, qualcuno ha obiettato che ascoltare la musica online non suscita le stesse emozioni di un concerto dal vivo.
Noi riteniamo che si tratta semplicemente di due esperienze di ascolto diverse, e che l’una non esclude l’altra.
D’altro canto, fin quando assistere a un concerto dal vivo significherà esporsi direttamente o indirettamente a un virus potenzialmente letale, quelle emozioni rischiano di costare un po’ troppo, non vi pare?
Ma guardiamo avanti.
In questi giorni Milano Music Week 2020 sta proponendo una settimana di musica live streaming.
Ecco il link per seguire le dirette online: www.milanomusicweek.it.
Apprendiamo dalla homepage della kermesse che «mai come quest’anno un evento come Milano Music Week è fondamentale per contribuire al necessario rilancio dell’intero settore musicale che sta vivendo una crisi gravissima. D’accordo con tutti i promotori, che rappresentano l’intera industria musicale, vogliamo fare quadrato, aiutare per quanto possibile la ripartenza delle attività, facilitare i professionisti della musica e dell’intrattenimento a ritrovare occasioni di lavoro e riportare la musica, in tutte le sue forme e nel migliore dei modi, al pubblico, unico vero destinatario del nostro lavoro. Sarà per forza di cose una edizione online, durante la quale proveremo ad esplorare nuove forme di fruizione e produzione musicale per costruire insieme nuovi scenari».
Nonostante siamo fervidi sostenitori del copyleft, e la nostra filosofia è antitetica a quella delle major, non possiamo non rallegrarci per questa iniziativa, dal momento che abbiamo fondato nel 2018 Worldwide Open Music, nel 2019 MusicAq magazine e nel 2020 Radio MusicAq, esattamente per questi scopi.
Quindi, se oggi anche le major fanno l’occhiolino al copyleft non possiamo che compiacercene, perché questo dimostra la validità della nostra iniziativa, ma preferiamo comunque mantenere le distanze da eventuali logiche commerciali che hanno a che fare più col profitto che con la musica.
Grazie al copyleft, nelle nostre piattaforme web possiamo proporre contenuti gratuiti ma dal valore inestimabile.
Eppure, copyleft non significa “gratis”, ma “libero”.
Non è una questione di prezzo, ma di libertà.
Le licenze copyleft, principalmente la Open Audio License e alcune licenze Creative Commons, non implicano affatto la negazione del diritto d’autore, anzi, garantiscono che nessuno possa attribuirsi la paternità di un’opera altrui o possa utilizzarla in maniera difforme da come l’ha ricevuta.
Sembrano questioni di lana caprina, ma è grazie a questo strumento giuridico che la maggior parte delle persone nel mondo utilizza oggi sistemi operativi su base GNU-Linux (fra i quali anche Android), linguaggi di programmazione come Python o Java, software come LibreOffice.
Se Tim Berners-Lee e Robert Caillau non avessero concesso il WorldWideWeb in licenza copyleft, oggi l’Internet non sarebbe quella finestra sul mondo che tutti conosciamo e utilizziamo.
È copyleft anche Wikipedia.
E potremmo andare avanti per ore con una miriade di esempi.
Ecco perché siamo sicuri che il copyleft guiderà la rivoluzione nel campo della musica.
Ecco come, nel nostro piccolo, sosteniamo la musica e gli artisti anche durante questo periodo di enorme difficoltà.
Questo è ciò che facciamo da anni, e continueremo a fare, da musicisti liberi e sinceri, ma anche da ascoltatori appassionati.
Ci piacerebbe coinvolgere nel nostro progetto anche le stazioni radiofoniche e le emittenti televisive, sopratutto quelle locali, così come i quotidiani, cosicché anche le loro esortazioni a sostenere la musica (e il teatro) non restino frasi piene solo di buone intenzioni.
Purtroppo, non possiamo fare a meno di notare che nonostante tanti slanci e proclami di solidarietà, le radio, le televisioni e anche i quotidiani locali si interessano ben poco o per nulla alla musica non commerciale (ma anche al teatro non convenzionale), mentre trasmettono palinsesti che non interessano a nessuno.

Se siete interessati al nostro progetto, non limitatevi a un “like”, ma condividete e commentate i nostri articoli, coinvolgete i vostri amici o il vostro pubblico.
Siamo qui per voi, e non collezioniamo pollici blu.